Futura e Domitilla, donne a confronto

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Questa intervista è stata condotta in una maniera insolita. Abbiamo da prima parlato con loro separatamente capendo le diversità delle due situazioni uguali ma opposte e ve ne proponiamo di seguito una panoramica, abbiamo poi fatto incontrare le due donne e messe a confronto tra loro.

Futura e Domitilla (nomi che useremo per convenzione), sono entrambe separate in casa ma mentre per Futura la cosa è fresca, Domitilla è separata in casa da più di dieci anni. Futura vive una situazione serena, convive con il suo ex marito con amicizia, ammette che da un punto di vista di quotidianità è rimasto tutto uguale, lei lava e stira per tutti, ma dormono in camere separate, l’aspetto fondamentale che il letto coniugale rappresenta è venuto a mancare. Inoltre Futura lavora per il suo ex marito, continuando a sostenerlo e aiutarlo nelle decisioni che riguardano tutta l’attività e spesso anche al di fuori. Tuttavia l’intenzione è quella di definire a breve la situazione, per quanto serena sia, è giusto che entrambi conducano la propria vita.

La situazione di Domitilla è ben diversa. La convivenza è difficile e tesa, lui provvede a se stesso facendosi il bucato, quasi mai pranzano insieme e cercano per quanto sia possibile, di non incrociarsi all’interno delle mura di casa altrimenti è scontro. Eppure se da una parte abbiamo Futura che nonostante viva una situazione decisamente più rilassata abbia comunque intenzione di definire una sua esistenza separa, dall’altra abbiamo Domitilla che sebbene si trovi all’interno di una situazione decisamente più tirata, non ci pensa nemmeno a crearsi una vita propria.

Futura e Domitilla sono una di fronte all’altra.

Domitilla: “Da quanto tempo sei separata?” chiede Domitilla a Futura

Futura: “Quattro mesi, tu?”

Domitilla: “Più di dieci anni”

Futura: “Non senti l’esigenza di crearti una vita tua?”

Domitilla: “Ho passato i sessanta, dove vuoi che vada?!”

Futura: “Allora perché non lo hai fatto prima?”

Domitilla: “Io ho due figli, quando mio marito cominciò ad alzare le mani erano entrambi piccoli e pensavo che fosse solo una fase dovuta ad una situazione economica difficile incapace di sostenere la famiglia: si era indebitato fino al collo con un negozio di alimentari che fallì velocemente. Ci sfrattarono e ho passato diversi anni ad ammazzarmi di lavoro per pagare i debiti e mantenere due bambini mentre lui non faceva nulla. Pensavo che tenere duro per loro fosse mio dovere, e poi scusami tu perché convivi da separata? Non lo fai per le tue bambine?”

Futura. “Lo faccio per tutti, ma io vivo una situazione molto più rilassata della tua. Questo clima permette un distacco graduale in modo che le bambine possano abituarsi all’idea pian piano, così da sostenere molto meglio quella che voglio diventi una separazione a tutti gli effetti. Inoltre io lavoro per lui, abbiamo una ditta da portare avanti che garantisce da mangiare a varie famiglie e lui ha bisogno del mio supporto in questo ed altro, per il momento va bene così ma l’obbiettivo è quello della separazione effettiva, a piccoli passi. Queste le mie ragioni, e le tue? In prima istanza non condivido il tuo pensiero per il quale lo facevi per i figli, in una situazione del genere avresti dovuto lasciarlo subito, oltre a questo, i figli sono cresciuti perché continuare a stare con lui?”

Domitilla: “Perché lui senza di me finirebbe sotto un ponte, con la sua pensione non ci campa e nemmeno io con la mia, lui paga l’affitto e io tutto il resto, ma non solo, il mio primogenito me lo ha detto bello chiaro: mamma tu non dovrai mai lasciare questa casa.”

Futura: “Tuo marito alza ancora le mani su di te?”

Domitilla: “A volte.”

Futura: “Quindi, mi stai dicendo che vivi con una persona che ti picchia in una situazione al limite della sopportazione per facilitare la vita economica e perché te lo ha chiesto tuo figlio?”

Domitilla: “Sì ma non solo, anche se ho un compagno da diverso tempo e lui sarebbe disposto ad andare a convivere, io non riesco a staccarmi da questa vita. Con me vive ancora il mio secondogenito, ha 43 anni, lavora e da poco si è iscritto all’università, ha bisogno ancora di me-”

Futura: “Scusami ma davvero non capisco. Tuo figlio è grande e credo che debba camminare da solo, ma soprattutto lasciare andare te.”

Domitilla: “Io invece non comprendo te, se dici che va tutto bene che convivere bene, perché non rimettervi insieme e darvi una possibilità?”

Futura: “Perché non lo amo più, e io non riesco nemmeno a sfiorare una persona per la quale non provo più nulla, sarebbe una sofferenza, ma soprattutto non condivido il pensiero comune per il quale portare avanti un matrimonio forzato per i figli. Mia figlia di nove anni capì velocemente che qualcosa non andava tra me e mio marito prima ancora che ci lasciassimo e fu lei a farmi capire attraverso un suo discorso, che è meglio lasciarsi che fare finta di stare di stare insieme. Più di tutto, è mio dovere dare a lei e a sua sorella un’immagine corretta di matrimonio anche se questo vuol dire sfasciare il mio.”

Il confronto di queste due donne porta molto a riflettere. Sono evidenti le ragioni di una e dell’altra ma non è così immediato riconoscere quale delle due strade sia la più giusta. Non c’è una via giusta e una difficile e non c’è un unico canone di matrimonio corretto, ognuno ha forse i suoi perché e le sue logiche contraddizioni, nessuno è giudicabile. Molti direbbero che Futura avrebbe dovuto tenere duro e non lasciare il marito, altri che Domitilla avrebbe dovuto lasciare suo marito molto tempo fa.

C’è chi dice che “è più facile adattarsi che reinventarsi”.

Noi? Vi esponiamo i fatti con il massimo della obiettività e con le loro sfaccettature nella speranza che possiate formarvi la vostra opinione.

Mia nonna

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La sezione “coraggio” parla di tutti coloro che hanno coraggio. Coraggio nel portare avanti un’idea, un sogno; chi ha coraggio nel realizzare un progetto nella propria professione, chi ha coraggio di confessare chi abusò di loro, chi ha coraggio anche solo ad alzarsi al mattino.

Mi guardo intorno e cerco chi ha coraggio, ma solo ora mi accorgo che la persona più coraggiosa che conosco è mia nonna.

Bombardi Pia nata il 26 ottobre del 1896, sì avete letto giusto 1896, e morta all’età di 96 anni nel 1992.

L’ultima di undici fratelli tutti emigrati all’estero, Pia rimase per prendersi cura dei genitori qualora ce ne fosse stato il bisogno.

Al tempo la scuola era obbligatoria solo fino alla terza elementare, non c’erano quaderni ma solo fogli, quelli di bella si lasciavano a scuola e quelli di brutta si portavano a casa per i compiti.

Pia cominciò a lavorare all’erà di nove anni, come aiuto nei campi ” lavoravo dall’alba al tramonto per un tozzo di pane”, mi raccontava.

Mia nonna è sopravvissuta alla vera miseria: ” quanta polenta nera ho mangiato”. Ho dovuto fare ricerca per sapere che per “polenta nera” si intende la polenta senza condimento. La polenta era il cibo dei poveri perchè con pochissima spesa dava grande senso di sazietà. Mia nonna ha vissuto i tempi in cui la vera ricchezza non era il denaro, ma la terra da coltivare e un maiale da allevvare. Durante la guerra i ricconi di città andavano per le campagne offrendo denaro in cambio di cibo, poco riuscivano a comprare. Il cibo scarserggiava e chi aveva la possibilità di procurarselo lavorando la terra per il grano e la verdura, e avere un animale per la carne, non lo vendeva per tutto l’oro del mondo.

Due guerre, mia nonna ha passato due guerre, la prima e la seconda guerra mondiale, poco ricordava della prima anche perchè fortunatamente si combatteva lontano da dove abitava lei, ma non fu così per la seconda. Temeva i soldati tedeschi i quali chiedevano ospitalità, come rifiutarla? Il rischio era quello di essere accusata di favoreggiare la resistenza e le conseguenze potevano essere gravissime. Temeva gli stessi partigiani perchè se avessero saputo che dava ospitalità ai tedeschi l’avrebbero accusata di fare da spia per il nemeico e avrebbero potuto metterla a morte.

Ricordo le parole “ci vuole fatica per guadagnare quel pezzo di carta”, ci vollero gli anni perchè capissi che si riferiva ai soldi, che nulla sono se non carta, carta senza la quale mia nonna non poteva comprare le medicine per mia madre malata di polmonite, andò in prestito da una parente e riuscirono a curare la loro figlia.

Mia nonna contadina e mio nonno venditore ambulante. A piedi copriva chilometri e chilometri per vendere pelli di coniglio, olio che si vendeva non a bottiglie ma a cucchiaio, quando ancora non rischiavi di essere accusato di manipolazione alimentare.

I miei nonni che nonostante la miseria, con le nude mani hanno costruito due case, una per figlia e senza accendere mutui.

Mia nonna che all’età di 90 anni ha visto morire lentamente la sua secondogenita e si è ritrovata con due nipoti da allevare, una bimba di 7 anni e un ragazzo di 15, “sto al mondo solo per loro” diceva; e la sera faceva due rampe di scale per accompagnarmi a letto e rimaneva finchè non mi addormentavo; ed era in ansia più di un genitore se il nipote adolescente tardava.

Mia nonna il vero coraggio, colei che non ho saputo comprendere in tempo, alla quale dedico questo articolo.

Donne come lei, non ne nascono più.

Il coraggio si fa donna

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Ramona, donna forte sulla quarantina di origini ignote, Ramona non vuole rivelarci da dove arriva ma vi possiamo dire dove è arrivata: ad essere una donna forte e coraggiosa che ha preso in mano la sua vita e dato una svolta.

Ramona nasce e cresce in una famiglia semplice, forse troppo, al punto di non curarsi molto di lei, fortunatamente è sveglia e indipendente, va a scuola da sola a piedi e si arrangia con i compiti. A Ramona non piace studiare e appena conseguito il diploma va a lavorare come estetista apprendista presso un centro estetico del suo paese. E’ proprio nella pausa caffè che conosce Julian, lui non è italiano ma sudest asiatico. Ramona ammette di aver accelerato i tempi nella relazione con per uscire di casa “volevo tirarmi fuori di casa e sono andata a convivere quasi subito”, ci confessa, ma vuole comunque bene a quel ragazzo e l’amore non tarda ad arrivare.

Ma Julian appare quasi da subito aggressivo, non arriva alle mani ma si pone comunque con fare prevaricatore e prepotente ma Ramona non si lascia intimidire e gli fa capire che non si sarebbe fatta sottomettere facilmente, ma presto arrivano le botte. Ramona passa sopra le prime volte sperando che fossero casi isolati, ma con il tempo ogni pretesto è buono e Julian non si ferma nemmeno davanti a Ramona gravida di suo figlio.

“Perchè non ti sei rivolta alle forze dell’ordine? ”

“L’ho fatto, mi hanno detto che senza prove schiaccianti non potevano fare niente, era la mia parola contro la sua”. Ramona non ha certo intenzione di rischiare un aborto per farsi lasciare i lividi sul corpo e fornire “prove schiaccianti”. Il piccolo nasce senza problemi ma lei non permette che venga riconosciuto dal padre e così appena partorito chiede ospitalità ad un’amica.

Ramona è forte ed indipendente, riesce presto a trovare un lavoro, una casa e vivere da madre single ma non per molto. Incontra Renato di origini nordiche, i due si innamorano e si sposano, hanno ora un altro maschietto e vivono sereni insieme.

Ma non va sempre così. Francesca si sposa giovane e lui si dimostra violento quasi da subito, inizialmente qualche schiaffetto di poca forza ma presto arrivano le botte vere, e nemmeno lui si ferma davanti alla gravidanza della moglie ma fortunatamente la piccola nasce sana. Le violenze vanno avanti per dodici anni sotto gli occhi della piccola.

“Perchè? Perchè hai scelto di continuare a subire?” chiediamo a Francesca.

“Perchè secondo te? Paura. Paura delle ripercussioni, credi che sarà comunque meno grave sopportare la violenza che le eventuali ripercussioni su te o peggio tua figlia nel caso scappassi o ti ribellassi, inoltre sapevo che le forze dell’ordine non avrebbero fatto nulla e non c’erano tutti i centri anti-violenza che ci sono oggi, ero sola”.

Ma un giorno Francesca non ne può più ed è quando sente il braccio destro spezzarsi sotto i pugni del marito che decide di farla finita.

Corre dai carabinieri in lacrime, con i capogiri per il dolore tenendosi il braccio. I carabinieri la soccorrono, la conducono in ospedale e senza tanti complimenti allontanano l’uomo da casa. Essendo casa in affitto non ha diritto su questa, tornerà qualche volta a lanciare sassi contro la finestra ma poco male. Francesca cambia appartamento e nessuno più farà del male a lei o alla sua piccola.

Siamo sole e abbiamo paura, ma cosa costa di più? Il rischio di ribellarsi o continuare a subire? Perchè credetemi se vi dico che mentre subiamo ci continuiamo a ripetere che presto tutto sarà finito, ed è vero che quelle botte finiranno per il momento ma poi riprenderanno ancora, e ancora, e ancora. Ci illudiamo che presto finiranno ma non è così, a volte ci vuole un braccio rotto, altre però finiscono peggio e a quel punto non ci sarà nulla da fare, non ci sarà più possibilità di ribellione.

Sono scelte dure, ma siamo donne, le nostre non sono mai scelte facili.

PASSATO REMOTO, Leonardo Padura Fuentes

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  • Copertina flessibile: 222 pagine
  • Editore: MARCO TROPEA (15 gennaio 2011)
  • Collana: Fuorionda. Iperfiction
  • Lingua: Italiano
  • ISBN-10: 8855801686
  • ISBN-13: 978-885580168

Quanti di noi conoscono la letteratura cubana contemporanea? Direi pochissimi quasi nessuno, me compresa e pur avendo visitato Cuba non mi sono curata tanto del presente quanto del passato e sono partita leggendo la biografia del Che “Senza perdere la tenerezza”, di Paco Ignacio II Taibo, un libro molto bello ma di una dimensione veramente inaffrontabile. E se lo dico io che sono una lettrice compulsiva, è tutto dire!

Comunque, non so come, non so perché, un giorno mi sono imbattuta nel commissario Mario Conde e nel suo autore Leonardo Padura Fuentes ma soprattutto in questo libro dal titolo evocativo che mi ha ricordato il mio atteggiamento verso Cuba: sguardo al passato, mitico, e niente o poco al presente. Una vera folgorazione sulla via di damasco!

Così ho iniziato ad informarmi sull’autore, Leonardo Padura Fuentes, scrittore, giornalista, saggista cubano nato nel 1955 che inizia a scrivere della sua città e di un quartiere in particolare, La Víbora, barrio nativo di sua moglie Lucía.

Questa passione lo porta a scrivere reportage su fatti storici e culturali che, come racconta lui stesso, gli permettevano di trattare tematiche reali in maniera letteraria. Il salto verso Mario Conde è quasi naturale: i misteri di una Cuba in trasformazione passano tra le mani del tenente Mario Conde, personaggio disordinato, disincantato, spesso ubriaco, un poliziotto che, secondo la definizione dello stesso Padura, avrebbe voluto fare lo scrittore.

Inizio a leggere e ritrovo tutte le atmosfere cubane tra il mito di un passato avvolto ancora nella leggenda e la realtà del presente, filtrato dallo storia personale del tenente Conde e, neanche a dirlo, dal suo amore giovanile che gli ricompare davanti quasi per caso. E’ un dialogo, tra nostalgia e disincanto, tra il passato della sua gioventù e del suo paese, e il presente, la realtà di ciò che è diventato e il mistero di una scomparsa.

Siamo a L’Avana, nel gennaio 1989. Il tenente di polizia Mario Conde viene svegliato di soprassalto la mattina presto dal proprio superiore, il maggiore Antonio Rangel. Stordito dai fumi dell’alcool della sera precedente, Mario Conde fa fatica a comprendere cosa dice il suo superiore e soprattutto, mette a fuoco in ritardo la comunicazione della fine prematura delle proprie ferie. La notte del primo gennaio è scomparso Rafael Morín Rodríguez, il direttore della ditta di import-export che lavora per conto del Ministero dell’Industria.

Mentre cerca di riaversi alla bella e meglio dallo shock, gli viene in mente di aver già sentito quel nome, e cerca che ti ricerca, tra la nebbia dell’alcool gli viene in mente dove e quando aveva già sentito quel nome. Quando aveva iniziato il Pre-Universitario de la Vìbora, nel 1972, Rafael Morín era il presidente del FEEM (Federaciòn de Estudiantes de la Enseñanza Media del Preuniversitario). Uno studente brillante, destinato a folgorante carriera, non fosse altro per i suoi modi impeccabili e irreprensibili. Si fidanza e si sposa con Tamara, la donna dei sogni del Conde e del suo migliore amico, il Magro. Un sogno rimasto impossibile.

Nel corso degli anni, Rafael Morín ha fatto carriera ed è diventato un dirigente pubblico stimato e, a detta di tutti, irreprensibile, un uomo apparentemente senza nemici, che non è fuggito con un’amante, né ha tentato di lasciare l’isola. L’indagine è affidata al riluttante Mario Conde, con l’ordine di trovare una veloce risoluzione senza disturbare troppo le alte sfere che Rodriguez era solito frequentare. Ma è proprio lì che le indagini finiscono per concentrarsi, dopo aver portato alla luce alcuni aspetti non proprio limpidi nella carriera del dirigente scomparso.

Le indagini riveleranno il volto meno noto del dirigente e della società cubana degli anni ’80 ma obbligheranno anche il tenente a fare i conti con un passato forse lontano eppure vivo nel presente.

La geometria dell’indagine disegna tre diversi filoni che arriveranno ad una convergenza finale. Da una parte l’indagine vera e propria, che porterà alla soluzione dell’enigma. Dall’altra c’è l’esigenza dell’autore di farci conoscere il tenente protagonista attraverso il suo lavoro e la sua personalità ma anche tramite i ricordi che si intrecciano lungo lo scorrere del romanzo. È un “romanzo al passato” perché porta il Conde a rivedere, in un certo senso, il proprio passato man mano che le scoperte delle indagini lo portano a darsi alcune spiegazioni. E il presente è quello di una quotidianità squallida che per certi versi si nutre di rimpianti e di assenza di illusioni. Mario Conde sembra un uomo vecchio, pronto a tirare le fila della propria vita, quando in realtà ha solo poco più di 30 anni. Tutto il romanzo è come immerso in una sorta di nebbia, una specie di andirivieni tra il passato e il presente, tra le illusioni personali e di una società e la realtà di un presente che ha perso ogni attrattiva e speranza. Infatti, il tenente Mario Conde, alla fine, costituisce né più né meno che il punto di vista dell’autore nei confronti della società e della realtà politica.

– Carmela –