Francesco Pavesi, una carriera in lirica

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La storia di cui vi parlo oggi è la testimonianza di una ragazzo che ha scelto una carriera diversa dal solito. Una carriera di cantante lirico, cosa molto particolare in effetti, soprattutto considerando che Francesco aveva intrapreso inizialmente lo studio di materie scientifiche. Spero possiate quindi apprezzare una testimonianza reale di una scelta non usuale.

Francesco Pavesi appears courtesy of Patrizia Caravaggio

D: Buongiorno Francesco, ci racconti qualcosa del tuo percorso di formazione da quando eri ragazzino, e se sentivi andarti stretto questo percorso?

R: Il mio percorso di studi è stato piuttosto lineare e direi che non c’è stato necessariamente qualcosa che mi andasse stretto. La passione per la musica lirica si è manifestata fin da quando ero ragazzino, passavo ore a mettere gli LP dei miei genitori sul giradischi cercando di imitare i cantanti che si avvicendavano in quelle incisioni. Ho sempre avuto un animo curioso per tutto ciò che mi circondava, che fosse scienza, filosofia o musica per l’appunto. Un giorno, il Maestro di canto corale del Conservatorio, mi disse che c’era qualcosa nella mia voce che poteva avere un potenziale, ne seguì il primo concerto con una piccola parte solistica a Taranto e poi un lungo percorso che mi ha portato a fare l’audizione per l’Accademia Verdiana e il Maestro Carlo Bergonzi.

D: Quando hai capito che volevi provare la lirica, e a che punto questa passione è diventata qualcosa di più?

R: Può sembrare incredibile ma l’ho capito durante una serata al Teatro Magnani di Fidenza, avevo all’incirca 12  anni e rimasi stregato dal personaggio di Dulcamara ( quella sera interpretato da Romano Franceschetto), nell’Elisir d’amore, che in quella produzione faceva la sua sortita dalla platea. Fui letteralmente ipnotizzato e memorizzai  tutta l’opera in pochi giorni, cantandola di continuo. Per rispondere alla seconda parte della tua domanda forse la chiave di volta fu il debutto a Carnegie Hall nel 2011, che fu anche il debutto a New York. Sentivo il profondo dovere di fare il massimo,  per tutti quelli che fino ad allora avevano creduto in me, ma soprattutto per me stesso. Non voglio essere frainteso, non è individualismo, ma la consapevolezza di quanta fatica si fa per arrivare anche solo una volta nella vita a un appuntamento di quel tipo. Durante gli applausi mi commossi, mi ricordai  di tante persone incontrate, di tante esperienze, piacevoli o meno, ma comunque necessarie.

D: Ora che sei un professionista di questo settore, come è cambiata la tua vita?

R: Credo che la cosa che caratterizza maggiormente il mio lavoro sia necessariamente lo spostarsi spesso e cercare di mantenere di volta in volta il massimo livello di preparazione possibile, poi, chi ti ascolta dirà se la  cosa ti è riuscita o meno e se vorrà tornare ad ascoltarti la volta successiva.

Francesco Pavesi, Dina Pruzhansky
Carnegie Hall NY

D: Dato questo difficile periodo di pandemia, che valutazione dai all’arte secondo il tuo punto di vista?

R: Anche se per studi pregressi non sono totalmente digiuno della materia, non ho mai voluto dare valutazioni particolari sulla pandemia e il periodo terribile che il mondo intero sta vivendo, ho sempre rispettato convintamente le regole e lasciato la parola ai tecnici. Credo d’altra parte, che un teatro d’opera, che rispetti i dovuti protocolli, sia uno dei luoghi più sicuri in assoluto, o, quantomeno, più sicuro di altre situazioni che chiunque di noi ha potuto osservare in  una qualunque città italiana. Vorrei aggiungere, per coloro che comprendono solo il linguaggio del profitto, che la cultura italiana tutta,  rappresenta uno degli appeal principali del nostro paese all’estero e questo merita particolare riguardo. I teatri, il patrimonio artistico, i lavoratori dello spettacolo non sono un “divertissement”, sono “prodotto interno lordo”, indotto,  riconoscibilità del nostro paese nel mondo.

D: Se qualcuno come te, sentisse questa passione per la lirica, vorresti dare qualche consigli utile?

R: Non so se sono all’altezza di dare consigli a qualcuno ma certamente direi: lasciate qualcosa a chi vi ascolta, qualcosa che faccia ricordare loro quella serata. Una volta, una signora dopo un concerto mi disse: “stasera mio marito era accanto a me, nella poltrona a fianco e ora, anche se rincaserò in taxi penserò che alla guida ci sia lui, che lo aspetterò sul portone, perché le chiavi ce le aveva sempre lui. Questo stasera mi hai fatto ricordare e non sai quanto bene mi ha fatto”.

Credo che questa testimonianza sia utile per le tante persone che magari hanno in mente qualcosa di diverso per la loro vita ma ancora non hanno potuto o voluto fare quel passo importante per tentare una carriera differente.

Fateci sapere che cosa ne pensate.

– Michele –

Prostituta mantenuta

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Normalmente si pensa al mondo delle prostitute come un mondo triste, violento alla base del quale vi è lo sfruttamento, ed infetti per l’80%, è così.

Tuttavia vi è anche una piccola parte di donne che lo fa per scelta, consapevoli della vita che dovranno  affrontare.

La prostituta in questione, per la quale ovviamente useremo uno pseudonimo, è stata messa sulla strada dal marito ed una volta liberatasi da questo, ha continuato questa professione che ritiene redditizia.

Silvia si è sposata giovane con uno zingaro il quale non ha esitato a metterla sulla strada. Lei batteva il marciapiede e tutti i ricavi del suo lavoro venivano consegnati al marito. Ma Silvia non si è fatta sottomettere a lungo, in seguito a denunce riguardo agli illeciti traffici del marito, questo è stato da prima in galera e in seguito espulso dall’Italia. Una volta libera, Silvia decide di continuare a fare il lavoro più vecchio del mondo, ritenendolo redditizio e libero da qualsiasi vincolo di sfruttamento o tassazione. Sceglie gli orari in cui lavorare e con chi, predilige gli italiani e non lavora con rumeni.

Ma non si tratta solo di prestazioni occasionali, Silvia “accompagna” i suoi clienti, e spesso oltre o in alternativa al pagamento delle prestazioni si fa offrire la cena per lei e per gli amici, un week end, regali per i suoi bambini, vestiti, affitto della casa ecc. I clienti di Silvia sono quasi tutto sposati e grazie al suo lavoro arriva a guadagnare anche 1000€ al giorno.

Ora, ascoltando questa storia mi sono posta due domande fondamentali: prima di tutto, come fa una donna ad ammaliare un uomo a tal punto da farsi mantenere? E di tanto in tanto anche gli amici? Inoltre parliamo quasi sempre di uomini sposati, è così orribile il loro matrimonio da dover fuggire da una prostituta ed acconsentire a tutte le sue richieste?

Inoltre, possibile che una piccola percentuale di prostitute scelga di fare questo mestiere a rischio di malattie, gravidanze, o di incappare in delinquenti e depravati? Silvia non usa precauzioni, dice di conoscere i suoi clienti, ma fino a che punto si può essere sicuri? Chi può essere certo che un domani Silvia non cada ancora vittima dello sfruttamento?

Da questo punto di vista forse varrebbe la pena considerare di riaprire le case chiuse, ove le prostitute sono dipendenti, o associate, dove vi sono maggiori controlli sia sanitari che legali, e dove l’ambiente non sia quello esposto e rischioso della strada.

Spunti su cui riflettere.

– Isabella –