Le Nuotatrici

Standard

Ho visto questo film come novità di fine 2022 sul portale di Netflix. Una storia dura ma reale che vale la pena di vedere e conoscere. La storia è quelle di due sorelle inseparabili Yusra e Sara Mardini, con la passione per il nuoto che gli viene trasmessa dal padre, ex atleta agonistico. La loro sfortuna è di vivere in Siria, un paese perennemente in guerra. La loro vita quotidiana è scandita dagli allenamenti in piscina grazie alla nazionale siriana. I tumulti e i soprusi quotidiani di controlli di militari sono il contorno delle loro giornate. Tutto cambia quando durante un allenamento avviene un bombardamento.

Il centro sportivo dove si allenano viene attaccato e distrutto. Fortunatamente le ragazze sopravvivono ma è subito chiaro che il loro futuro a Damasco non è più possibile. Convincono quindi il padre a lasciarle scappare verso la Germania per trovare un futuro di atlete. Il viaggio parte in aereo verso la Turchia ma appare subito evidente che le difficoltà sono appena iniziate…

Assieme ad un cugino che viene affiancato dalla famiglia per la loro protezione, il viaggio appare subito disperato per le condizioni da affrontare. La prima tappa è la Grecia, affrontano così il mar Egeo su di un gommone insieme ad altri 18 profughi provenienti da diversi stati in varie condizioni. Uomini e donne, una madre un neonato che scappano da zone di guerra ancora peggiori. Il gommone è sovraffollato e dopo aver pagato molti soldi per poter affrontare quel viaggio le sorelle decidono di buttarsi in acqua per salvare il gommone che con il peso di troppe persone continua ad imbarcare acqua. Arrivati a Lesbo vengono accolti ormai stremati, da associazioni di aiuto.

Il viaggio che doveva essere veloce si trasforma in una traversata estrema, dove i giovani vengono truffati, derubati e sfruttati per la loro paura e disperazione da molte persone lungo il cammino. Le ragazze attraversano la Serbia, l’Ungheria, l’Austria sino ad arrivare in Germania che era il loro obiettivo. Sempre guardate male e attraverso il pregiudizio le sorelle cercano di farsi accettare come rifugiati. Una volta a Berlino Yusra e Sara vanno in piscina per riprendere gli allenamenti e incontrano un allenatore a cui chiedono disperatamente aiuto.

Nel 2016 il comitato olimpico vista la situazione di molti paesi, decide di comporre una squadra di soli rifugiati, mentre Yusra si impegna al massimo per entrare a farne parte, Sara decide di dedicarsi all’aiuto dei profughi per l’esperienza che hanno vissuto. Questa storia, raccontata anni dopo dalle stesse protagoniste, ci da uno spaccato reale di come possono accadere le cose e di come questi profughi si trovino in situazioni di fuga da paesi in balia di tumulti i e guerre. Ben lontani dall’immagine di profughi che spesso ci viene descritta dai media. Un film che consiglio caldamente di vedere per capire davvero anche il punto di vista di persone che cercano solo di avere un futuro ed una vita che non sarebbe possibile nel paese di origine.

Se per Yusra e Sara l’epilogo di questa storia è stato positivo perchè arrivati a destinazione, nel vedere questo film si comprende quanti muoiono in questi viaggi della speranza per poter dare un futuro a se stessi o ai propri figli.

Buona visione

Michele

La cura dello stupore – Michele Marziani

Standard

La cura dello stupore, edito da Ediciclo, racconta la storia del suo autore, Michele Marziani, scrittore, giornalista, da sempre legato ai temi sociali, dell’ambiente, alla valorizzazione dei territori e della cultura enogastonomica italiana. Marziani, a un certo punto della sua vita, decide di trasferirsi dalla città moderna alle zone più isolate della Valsesia, regalandoci un racconto personale di stupori ed esperienze che si mischiano al suo presente e passato.

Le piante, le erbe e il silenzio sono le prime cose che caratterizzano questo cambiamento di vita che avviene proprio in periodo di inizio pandemia. Le restrizioni e il lockdown assumono un significato diverso rispetto alla città. Le informazioni arrivano dalla piccola edicola di paese, sulla carta stampata, niente internet né televisione. L’autore vuole apprezzare il tempo che le parole su carta hanno di depositarsi anche nei pensieri, lasciandosi la possibilità di adattarsi alla vita di un piccolo paese montano, che ha un ritmo differente; nell’isolamento Marziani trova il modo di apprezzare e conoscere le piante e le loro proprietà. La maggior libertà data dalla sua situazione lo fa sentire un privilegiato rispetto ai cittadini. Circondato da libri, la sua vita ha una stretta connessione con questi ultimi e le sue esperienze vengono filtrate dalle letture che ci consiglia durante il suo racconto.

Così mi sono ricordato che quassù in montagna mi avevano spinto i libri. Mi ci aveva portato Henry David Thoreau(…)Mario Rigoni Stern, Dino Buzzati mi avevano detto di venire qua.”

Arrivano così i ricordi del suo passato, la sua famiglia e i numerosi traslochi fatti. Un percorso che lo ha portato fino dove oggi si trova. Un ambiente aperto e puro che gli è congeniale, contrapposto al racconto di uomo di città che per quindici anni non ha mai avuto necessità di un’auto. Questo perché i grandi centri hanno trasporti e amici che ti danno i passaggi. Passare dal non aver mai pensato ad una scadenza di assicurazione, revisione etc. alla consapevolezza di essere in una valle che lo costringe ad avere un’auto per non sentirsi isolato e solo.

Ritorno sulla strada di casa. Sui pensieri attorno al possedere le cose. Ma anche intorno all’abitare. Alla grandezza in metri quadri dei luoghi dove si passa la vita. Ne ho occupati di minuscoli e di immensi.”

Marziani prosegue parlandoci della sua famiglia, dei figli e del suo lavoro, offendo così un viaggio molto introspettivo e personale in cui alcune situazioni private emergono filtrate sempre dal punto di vista dell’autore che si espone con l’uso di libri che lo hanno colpito o affascinato. Non potrebbe essere altrimenti, visto la passione che Marziani mostra per la letteratura e la lettura in generale.

Le cose che più si apprezzano di questo viaggio nella sua vita sono l’uso delle parole e dei riferimenti letterari: le parole perché sono chiaramente ricercate, per suscitare nel lettore una raffigurazione di quanto ci racconta, come volerlo mostrare direttamente dai suoi occhi; i continui riferimenti agli autori e ai libri che lo hanno formato, accompagnato e guidato nelle sue scelte è per molti versi interessante.

Cela però una possibile difficoltà, poiché risulta a volte complicato non perdersi nel filo sottile che lega i ragionamenti alle sue esperienze di vita e dei suoi racconti familiari da quando era un ragazzo sino all’età adulta. Mentre la prima parte del libro appare più concreta, con i paragoni di due vite molto diverse e il racconto di adattamento a una nuova vita più isolata con tutto ciò che ne consegue, la seconda parte è molto più introspettiva e meno reale

La cura dello Stupore è un libro che sa affascinare il lettore per come è scritto e lo trasporta piacevolmente in un mondo di introspezione singolare, che guida anche il lettore a riflessioni personali spesso mai ricercate.

Michele

Wanna, docu serie di una truffa italiana.

Standard

Il caso non ha certo bisogno di presentazioni, se non proprio per i più giovani. Il caso Wanna Marchi è lo scandalo italiano più grosso degli ultimi decenni sulle televendite. Questa docu serie di Netflix, ricostruisce in 4 episodi, l’antefatto dagli anni 80 con l’ascesa della televenditrice nelle tv locali, sino al maxi processo deglia anni 2000 che si conclude, come tutti sappiamo, con la condanna definitiva di Wanna e la figlia Stefania per truffa.

Si leggono i pareri più discordanti su questa serie. Comunque la si pensi credo sia stato utile fare chiarezza su determinati fatti. Il documentario non da giudizi ma racconta solo le carte, e intervista i diretti interessati oggi, raccogliendo le loro considerazioni e verificando diversi fatti dichiarati e mettendo anche in evidenza le incongruenze ruiscontrate. Alcuni giornalisti che all’epoca hanno seguito da vicino i fatti ci mettono in luce tutte le contraddizioni di una storia misteriosa. Sicuramente le protagoniste non ne escono elogiate.

La serie ripercorre inizialmente l’ascesa di una televenditrice negli anni 80. Gli stessi in cui le tv private sopravvivevano grazie alle televendite. Wanna Marchi ne era la regina e vendeva molti prodotti, non sempre funzionanti, ma pur sempre prodotti che le persone acquistavano. Molto spesso con caratteristiche promesse esagerate rispetto al reale ma comunque nei limiti del legale. Ad un certo punto i soldi danno alla testa a Wanna e alla figlia Stefania, che diventa il braccio destro e appare in tutte le televendite. Si credevano così brave da poter vendere la fortuna, ovvero il nulla. E’ in questo periodo che guadagnando miliardi, iniziano a estorcere denaro ai più fragili con minaccie e prosmesse di morte alle persone care.

Nonostante siano passati anni. le due interessate si sentono ancora oggi vittime di un sistema, non riconoscno il rimorso di ciò che hanno causato ma soprattutto sono convinte che le persone che si fanno fregare lo meritano. Traspare inoltre un legame malato madre e figlia, che alimenta una versione dei fatti solo loro che va contro il resto del mondo e che non accetta alcuna altra possibilità. Consiglio sicuramente la visione del socumentario a tutti, anche i più giovani per farsi un’idea di quegli anni e di come 2 donne qualunque sono riuscite a cambiare la tv e mettere in piedi la più colossale truffa ai danni delle persone.

Michele.

Ascensione

Standard

Il film di cui vi voglio parlare oggi è una commedia francese. Mi preme sottolineare che il film si ispira ad una storia realmente accaduta, anche se ovviamente nel film i fatti sono più romanzati. Il giovane Samy vive in un quartiere popolare della cittadina di Le Corneuve, la periferia di Parigi. La sua vita sino a questo momento è stata per così dire, costellata di pochi successi. Samy è disoccupato e non è mai riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. Vive ancora in casa con i suoi genitori e da sempre è innamorato della vicina Nadia, che fa la commessa nel supermercato del quartiere.

Nadia è attratta da Samy ma non lo prende sul serio a causa del suo carattere arrendevole e rinunciatario. Durante una delle loro discussioni, Nadia accetta di uscire e dare un bacio a Samy se lui riuscirà a scalare l’Everest. Inizia una crociata di Samy per compiere la missione impossibile. Si allena fisicamente e nel frattempo cerca un piccolo sponsor locale di abbigliamento che accetta di finanziare parte della sua spedizione. Persino una radio locale decide di seguire Samy in una impresa che appare appunto impossibile… contro ogni pronostico Samy parte.

Appare immediatamente chiaro che Samy è totalmente impreparato ed inesperto, sia agli occhi degli uomini della spedizione, sia alla sua guida. Spesso deriso e non integrato nel gruppo, il viaggio lo mette di fronte a molteplici difficoltà. Samy si appoggia ad uno sherpa di nome Johnny che diventerà il suo punto di riferimento e amicizia per capire come andare avanti.

Grazie a Johnny, il nostro protagonista inizia a capire le difficoltà non solo del suo viaggio, ma delle tante cose che aveva dato per scontato nella sua vita, spingendolo a riflettere sui rapporti con gli altri e con la sua famiglia. Durante il viaggio e la copertura della radio che lo segue, Samy ottiene una grande risonanza senza nemmeno saperlo. Mentre la salita si fa sempre più dura sarà chiaro che non tutti arriveranno in cima, eppure Samy che versa in condizioni fisiche sempre più complicate, non accenna a cedere.

Qui vediamo il Samy del film e quello reale. Il film viene girato in parte in location vere del Nepal, Ascensione infatti è il primo film che ha girato sul campo base dell’Everest. Altre riprese invece sono nel versante francese del Monte Bianco.

Quando Samy fa ritorno a casa è una persona diversa, più consapevole e più fiduciosa non solo di sè stesso, ma anche della sua famiglia e delle persone che gli vogliono bene. La pellicola è spesso comica e piacevole, adatto alle famiglie e ad ogni età. Un film per trascorrere una bella serata dando spazio anche a riflessioni più serie.

Michele

Il truffatore di Tinder, documentario.

Standard

Sappiate che penso già di sapere che cosa state pensando. “Ma ci sono ancora donne che ci cascano?” Andiamo con ordine, il mese scorso esce su Netflix questo documentario. Il titolo era davvero curioso ma soprattutto, mi sono chiesto cosa potesse aver portato addirittura a farne un documentario mondiale. Come dice il titolo, parliamo di una truffa che avviene con l’app di incontri di Tinder e specula su alcune donne che sono alla ricerca dell’amore. Differentemente da ciò che potreste pensare, il nostro truffatore si presentava alle ragazza con foto che facevano ben capire il suo stile di vita molto elevato e ne davano l’aria molto professionale.

Il suo nome è Simon Leviev, e racconta di essere il figlio di un magnate russo del commercio dei diamanti. Inizialmente corteggia le donne con messaggi e racconta dei suoi viaggi di affari in giro per il mondo. Una delle donne che vediamo nel documentario, viene invitata da Simon a seguirlo in uno dei suoi viaggi per conoscersi. Jet privato, hotel di lusso… tutto spesato. In pratica come in un film o in un sogno. I due si piacciono e iniziano una relazione romantica. Simon molto presente e premuroso le racconta tutto della sua vita, le manda regali, ed ogni volta che fa tappa nella città della donna la invita nel suo hotel di lusso. Le cose non avvengono in fretta ma con tempistiche molto lunghe che fanno pensare quindi ad un naturale svlogersi della relazione.

Questo trattamento accomuna tutte le sue vittime. Ad un certo punto chiede alla ragazza se vuole andare a vivere con lui e di cercare un appartamento adeguato per loro. La donna è molto felice e si mette subito alla ricerca. A questo punto però Simon dice che nel mondo del commercio dei diamanti subisce molte minacce e chiede a lei di stare attenta per non diventare a sua volta un bersaglio. Le minacce su Simon si fanno molto pesanti fino al punto di subire alcune aggressioni che lui documenta su foto in ambulanza. La donna è molto spaventata ed inizia a diventare paranoica. In questa situazione Simon le dice di non poter più usare le carte di credito per non essere rintracciato…

Come avrete capito la truffa comincia a configurarsi ma non è per nulla semplice o scontata. Vi suggerisco quindi di vedere come un semplice giovane ragazzo è riuscito a truffare centinaia di donne in giro per il momndo e fare una vita di lusso circondato di persone di alto livello. Le nostre vittime ovviamente non sono rimaste a guardare. Hanno fatto di tutto per poterlo incastrare.

Questa storia oltre ad essere incredibile, apre comunque molti spunti di riflessione su quello che è il mondo di incontri internet e app che non è ingradoin alcun modo di garantire una sicurezza agli utenti. La prova è che tinder ha bandito Simon dalla sua piattaforma solo dopo che il documentario è diventato mondiale e quindi impossibile da ignorare. Le tre vittime che hanno raccontato questa storia hanno anche aperto una sottoscrizione di fondi online per cercare di recuperare parte dei soldi per l’enorme debito accumulato a sei zeri.

E voi? che cosa ne pensate?

Michele

Francesco Pavesi, una carriera in lirica

Standard

La storia di cui vi parlo oggi è la testimonianza di una ragazzo che ha scelto una carriera diversa dal solito. Una carriera di cantante lirico, cosa molto particolare in effetti, soprattutto considerando che Francesco aveva intrapreso inizialmente lo studio di materie scientifiche. Spero possiate quindi apprezzare una testimonianza reale di una scelta non usuale.

Francesco Pavesi appears courtesy of Patrizia Caravaggio

D: Buongiorno Francesco, ci racconti qualcosa del tuo percorso di formazione da quando eri ragazzino, e se sentivi andarti stretto questo percorso?

R: Il mio percorso di studi è stato piuttosto lineare e direi che non c’è stato necessariamente qualcosa che mi andasse stretto. La passione per la musica lirica si è manifestata fin da quando ero ragazzino, passavo ore a mettere gli LP dei miei genitori sul giradischi cercando di imitare i cantanti che si avvicendavano in quelle incisioni. Ho sempre avuto un animo curioso per tutto ciò che mi circondava, che fosse scienza, filosofia o musica per l’appunto. Un giorno, il Maestro di canto corale del Conservatorio, mi disse che c’era qualcosa nella mia voce che poteva avere un potenziale, ne seguì il primo concerto con una piccola parte solistica a Taranto e poi un lungo percorso che mi ha portato a fare l’audizione per l’Accademia Verdiana e il Maestro Carlo Bergonzi.

D: Quando hai capito che volevi provare la lirica, e a che punto questa passione è diventata qualcosa di più?

R: Può sembrare incredibile ma l’ho capito durante una serata al Teatro Magnani di Fidenza, avevo all’incirca 12  anni e rimasi stregato dal personaggio di Dulcamara ( quella sera interpretato da Romano Franceschetto), nell’Elisir d’amore, che in quella produzione faceva la sua sortita dalla platea. Fui letteralmente ipnotizzato e memorizzai  tutta l’opera in pochi giorni, cantandola di continuo. Per rispondere alla seconda parte della tua domanda forse la chiave di volta fu il debutto a Carnegie Hall nel 2011, che fu anche il debutto a New York. Sentivo il profondo dovere di fare il massimo,  per tutti quelli che fino ad allora avevano creduto in me, ma soprattutto per me stesso. Non voglio essere frainteso, non è individualismo, ma la consapevolezza di quanta fatica si fa per arrivare anche solo una volta nella vita a un appuntamento di quel tipo. Durante gli applausi mi commossi, mi ricordai  di tante persone incontrate, di tante esperienze, piacevoli o meno, ma comunque necessarie.

D: Ora che sei un professionista di questo settore, come è cambiata la tua vita?

R: Credo che la cosa che caratterizza maggiormente il mio lavoro sia necessariamente lo spostarsi spesso e cercare di mantenere di volta in volta il massimo livello di preparazione possibile, poi, chi ti ascolta dirà se la  cosa ti è riuscita o meno e se vorrà tornare ad ascoltarti la volta successiva.

Francesco Pavesi, Dina Pruzhansky
Carnegie Hall NY

D: Dato questo difficile periodo di pandemia, che valutazione dai all’arte secondo il tuo punto di vista?

R: Anche se per studi pregressi non sono totalmente digiuno della materia, non ho mai voluto dare valutazioni particolari sulla pandemia e il periodo terribile che il mondo intero sta vivendo, ho sempre rispettato convintamente le regole e lasciato la parola ai tecnici. Credo d’altra parte, che un teatro d’opera, che rispetti i dovuti protocolli, sia uno dei luoghi più sicuri in assoluto, o, quantomeno, più sicuro di altre situazioni che chiunque di noi ha potuto osservare in  una qualunque città italiana. Vorrei aggiungere, per coloro che comprendono solo il linguaggio del profitto, che la cultura italiana tutta,  rappresenta uno degli appeal principali del nostro paese all’estero e questo merita particolare riguardo. I teatri, il patrimonio artistico, i lavoratori dello spettacolo non sono un “divertissement”, sono “prodotto interno lordo”, indotto,  riconoscibilità del nostro paese nel mondo.

D: Se qualcuno come te, sentisse questa passione per la lirica, vorresti dare qualche consigli utile?

R: Non so se sono all’altezza di dare consigli a qualcuno ma certamente direi: lasciate qualcosa a chi vi ascolta, qualcosa che faccia ricordare loro quella serata. Una volta, una signora dopo un concerto mi disse: “stasera mio marito era accanto a me, nella poltrona a fianco e ora, anche se rincaserò in taxi penserò che alla guida ci sia lui, che lo aspetterò sul portone, perché le chiavi ce le aveva sempre lui. Questo stasera mi hai fatto ricordare e non sai quanto bene mi ha fatto”.

Credo che questa testimonianza sia utile per le tante persone che magari hanno in mente qualcosa di diverso per la loro vita ma ancora non hanno potuto o voluto fare quel passo importante per tentare una carriera differente.

Fateci sapere che cosa ne pensate.

– Michele –

Unbelievable

Standard

Oggi voglio raccontarvi di questa miniserie targata Netflix che ha scosso gli Usa.

Ci troviamo a Seattle, la città del famoso Grey’s Anatomy, ma siamo ben lontani dai toni patinati di questa serie. Marie la nostra protagonista, è una diciottenne disadattata che si trova in affidamento. Un pomeriggio subisce un’aggressione nel suo appartamento e viene stuprata da un uomo armato. Decide di denunciare, e qui iniziano le sue difficoltà… dopotutto è una ragazza difficile, con un passato di abusi e una famiglia poco stabile.

Anche la polizia che inizia le indagini sembra credere poco alla sua versione, tanto che anche lo spettatore inizia a domandarsi se ciò che ha visto sia vero o meno. Gli interrogatori si fanno più invasivi e pesanti. Le viene più e più volte chiesto di ammettere che si sia inventata tutto. Marie è giovane e debole e sotto quella pressione decide di raccontare che la sua storia è stata inventata. La polizia chiude il caso e sembra che tutto sia finito li.

Oltre questo Marie viene convocata in un processo per falsa testimonianza e per essersi inventata tutto. Ovviamente queste cose hanno sulla sua vita sociale e lavorativa un grande impatto negativo.

La storia si sposta dopo 3 anni in un altro stato il Colorado. Un nuovo stupro con le stesse modalità. Ciò che cambia in questo caso è la detective che se ne occupa.

La differenza sostanziale è il trattamento dell vittima, che viene difesa e supportata. Nessuno le mette pressioni e nessuno pensa che stia mentendo. L’approccio delle 2 detective fanno la differenza in questa storia. Da qui l’indagine prederà una nuova piega e i due casi verranno collegati. Non vi racconto come le cose finiranno, ma questa storia ci fa riflettere profondamente sui pregiudizi ed il modo di pensare delle persone e quanto questo possa fare la differenza in determinati casi.

Questa non è solo una miniserie, racconta infatti una storia che è realmente accaduta. Per questo ha fatto tanto discutere. Il primo approccio è di fatti totalmente maschilista e i suoi protagonisti non riescono a cogliere il disagio di Marie.

Ve ne consigliamo la visione perchè è importante capire un sistema profondamente sbagliato per anni che sta invece cambiando solo ora.

– Michele –

22 Luglio, un film per riflettere

Standard

22 Luglio è uno di quei film che sono difficili sia da vedere che da raccontare. La storia l’abbiamo sentita tutti quanti. Questa è la ricostruzione della strage nell’isola di Utoya nel 2011 vicino ad Oslo. Netflix distribuisce questo film molto duro che vi consiglio di vedere, pur avvisandovi delle scene forti.

Un estremista di estrema destra, Andres Breivik, sta pianificando un attentato. Vestito da poliziotto, fa esplodere un ordigno di fronte al palazzo del governo di Oslo, gettando nel panico la popolazione e tutta la polizia.

Si dirige poi verso Utoya dove in quei giorni ci sono molti studenti radunati. Stanno facendo incontri dove si parla di società e governo.Sempre camuffato da poliziotto Breivik riesce a farsi trasportare sull’isola dove inizia una vera e propria caccia ai ragazzi. Inseguirà e sparerà freddamente uccidendo 69 ragazzi oltre a ferirne molti di più.

Paura, panico incredulità, fuga. Questo è il racconto di una strage che si compie in poco meno di un’ora di film. La parte più dura da vedere. Dopo la strage, segue l’arresto e il processo. Il film ci fa seguire la storia di uno degli studenti sopravvissuti. Ferito da diversi colpi di fucile, il ragazzo deve attraversare una dura convalescenza.

L’epilogo di questa storia la conosciamo tutti. Spesso però anche rivedere per capire o cercare di comprendere cosa sia accaduto è importante. Il film analizza vari aspetti, da quelli familiari, quelli legati alla società nonchè anche al processo stesso. La difesa di Breivik, il cui avvocato si trova costretto persino a cambiare la scuola al figlio per paura delle persone e delle loro reazioni.

Da un lato guardano questo film ho pensato che fosse quasi stato semplice per questo terrorista pianificare e mettere in atto questo attentato. Spesso sfruttando la fiducia e la buona fede delle persone a lui intorno.

Guardate questo film, perchè le storie vere ci possono sempre insegnare!

Questo trailer vi darà un’idea.

 

– Michele –

Sulla mia Pelle, un film per riflettere

Standard

Immagino che in questi giorni molti di voi avranno sentito parlare del controverso “Sulla mia Pelle”,il film sulla brutta storia di Stefano Cucchi. Ancora adesso non si è fatta piena luce su questa incredibile vicenda.

Incuriosito dai vari commenti, ho deciso che la cosa migliore fosse vedere il film per poi parlarvene.

Innanzitutto devo dire che sia Lucky Red che Netflix sono stati davvero coraggiosi nel portare sul grande schermo questa storia. Invito ciascuno di voi a vedere questo film prima di formulare qualsiasi giudizio. Il distributore Andrea Occhipinti si è anche dimesso a causa delle polemiche e difficoltà riscontrate nel distribuire nelle sale questo film.

La storia inizia dalla sera in cui Stefano viene fermato dai carabinieri per spaccio e uso di droghe e si conclude quando viene ritrovato morto. Non ci sono quindi pregiudizi su tutto quello che è accaduto dopo in quanto il film non tratta nulla di ciò.

Se vi aspettate un film violento vi sbagliate. Si preferiscono far intuire certe scene e non mostrarle. Una delle cose che più mi ha colpito in questa storia è la burocrazia disumana. Quella che non permette a dei genitori di vedere il proprio figlio. Dopo l’episodio di violenza, Stefano riporta delle evidenti lesioni corporali. Eppure ogni volta che viene trasportato o spostato, ad ogni richiesta di cosa sia successo risponde che è caduto.

L’indifferenza è una delle grandi protagoniste che avrebbero potuto cambiare veramente questa tragica storia. L’indifferenza del poliziotto che prende la deposizione, della polizia di stato che lo trasferisce e persino del personale del 118 che cerca di visitarlo quando sta male in carcere.

Le sue condizioni continuano a peggiorare, quando Stefano si presenta in tribunale, gli vengono poste poche domande. Tumefatto e in difficoltà risponde ad un giudice che rimane ancora una volta indifferente. Verrà trasferito in una struttura ospedaliera, dove grazie a diversi esami potranno accertare le lesioni subite.

Oltre quelle più evidenti, la più grave è la lesione a 2 vertebre della spina dorsale. In tutto questo, ogni volta che i genitori tentano di andare a trovarlo si trovano davanti ad un rifiuto burocratico che viene sempre propinato da una persona diversa in maniera disumana.

Durante uno degli ultimi colloqui con un’infermiera, lei chiede per l’ennesima volta di dirgli che cosa sia accaduto. Lui esausto le urla che è stato picchiato dai carabinieri e si stupisce che tutti chiedano e dice ” ma come non si vede?” tutti si sono girati dall’altra parte.

Dopo solo una settimana Stefano muore e la famiglia viene avvisata sempre dalla burocrazia. Una famiglia che sinora era sempre stata mantenuta all’oscuro delle reali condizioni di salute del figlio.

Un figlio che non viene certo dipinto come un eroe. Anzi è un drogato che racconta di essere stato più volte in comunità. Della famiglia stanca che poco si fida di lui, e del fatto che si dimostra essere anche uno spacciatore.

Nonostante questo, è il lato umano, che prevale in una storia di indifferenze e omertà. Di come questi genitori non siano mai riusciti a parlare con qualcuno e di come persino una volta morto il figlio si siano dovuti impuntare per poterlo vedere. Le procedure fredde e insensibili hanno prevalso su tutto e tutti… così un giovane è morto tra polemiche inutili su chi, come o cosa… quando forse meno indifferenza avrebbe potuto facilmente salvare una vita.

– Michele –

 

GLOW ( Grandiose Lottatrici Of Wrestling)

Standard

Sono rimasto folgorato da questa nuovissima serie di soli 10 episodi. Per raccontarvela, questa volta parto da un trailer

Se avete dato un’occhiata al video, vi siete fatti sicuramente un’idea della storia, ma c’è tanto di più. Questa serie ha debuttato proprio quest’anno in tutti i paesi in cui Netflix distribuisce. La serie racconta le vera storia del primo programma televisivo basato sulle donne del Wrestling.

Siamo nel 1985 e un’attrice disoccupata Ruth Wilder, è in cerca di una parte nel cinema o nelle serie a Los Angeles. Tutti i suoi provini sembrano andare male. La sua migliore amica, Debbie Egan ex attrice di soap opera, la aiuta nei casting. Debbie ha lasciato la tv per la famiglia, ma capisce perfettamente l’amica. In questa serie troverete tutti gli ingredienti avvincenti, di una storia di riscatto e realizzazione.

Ruth viene finalmente convocata per un provino riguardante un progetto sperimentale. Glow per l’appunto. Non immagina nemmeno a cosa va incontro, eppure sarà la prima sostenitrice della squadra sgangherata. Un gruppo di attrici semi fallite, ed un produttore di film di serie B che deve realizzare il programma televisivo. Vivranno tutti a stretto contatto in un piccolo Motel, dove imparare le mosse e creare i personaggi che porteranno sullo schermo.

Nascono così le due star delle serie. Ma non è così semplice, perchè le due amiche sono in realtà rivali per un segreto nascosto. La sceneggiatura e la recitazione sono le parti migliori. Molto ricercati i dialoghi delle lottatrici, i più grandi potranno notare i tanti riferimenti al cinema e musica reale dell’epoca. Costumi in perfetto stile anni 80, cosi come mode e colori. Una grande ironia e i problemi di tutti i giorni.

La caratterizzazione dei personaggi, l’estrema differenza delle protagoniste, sono la forza di questa serie già molto apprezzata. Un tocco di originalità, finalmente, nel panorama televisivo che negli ultimi anni ha sempre riproposto le solite storie. Ovviamente vi consiglio la visione aspettando la produzione della seconda stagione.

– Michele –