CANTO DELLA PIANURA, CUORE PROFONDO E MARGINALE D’AMERICA

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Stavo per parlarvi di un libro che ho letto questo autunno per curiosità, perché era piaciuto a molti e tanti me l’avevano consigliato. Non dirò di che libro si tratta. Posso dire che ho avuto qualche difficoltà, non sapevo cosa dire di preciso. Sì la storia, d’accordo. Ma non si era fermata dentro di me, mi aveva attraversata e, come un alito di vento, puff …svanita! Così mi sono fermata e ho deciso di cambiare tutto.

Ho deciso di scrivere di questo libro che si chiama Canto della Pianura. Certo, non posso dire che non sia un libro di successo, tutt’altro. Dopo l’uscita dell’ultimo volume (Crepuscolo nel 2016) di quella che è stata chiamata La Trilogia della Pianura, non si fa altro che parlare di lui, dello scrittore, e dei suoi libri.

Si chiamava Kent Haruf, lo scrittore, ed è scomparso nel 2014 a 71 anni. Ha avuto una vita di traversie eppure non ha mai deciso di abbandonare la scrittura. Il successo è arrivato a 56 anni proprio con Plainsong, questo il nome originale di Canto della Pianura: uscito negli Stati Uniti nel 1999, finalista al National Book Award, è stato pubblicato in Italia nel 2015, dall’editore NN, dopo Benedizione, il romanzo che chiude la trilogia.

A questo punto, spero di aver suscitato la vostra curiosità e non vedete l’ora di saperne di più. Il fatto è che proprio per la sua singolare semplicità è difficile parlarne, rendere le atmosfere, i personaggi, uomini e animali, stagliati sul vasto orizzonte che circonda la città di Holt nel Colorado, cuore profondo e marginale d’America.

Oltretutto Holt è una città che non esiste ma si è materializzata nell’immaginazione dell’autore che l’ha forgiata talmente bene da risultare reale: dalla Main Street è partito a costruire strade, disseminandole di case, la scuola, l’ospedale, l’emporio e il ferramenta, taverna e il ristorante, tutte cose non possono mancare in una cittadina; ha descritto inoltre con impareggiabile precisione l’imponente pianura circostante, ultimo avamposto prima delle grandi montagne. Una città così reale da essere lei stessa protagonista. Un luogo come tanti, dove tutti si conoscono, le loro storie minime sono strettamente connesse e diventano simbolo di una condizione umana di amore deluso, solitudine, follia, estraneità ma anche di speranza e riscatto.

Così a Holt, tra le pianure del Colorado, va in scena la vita di gente semplice. Il romanzo è tutto qui…per modo dire!

A Holt c’era quest’uomo, Tom Guthrie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno”.

L’incipit del romanzo dice molto sul tono, sullo stile, sulla apparente semplicità della narrazione, sulla scrittura piana e quasi colloquiale

Il romanzo inizia così, con un tono semplice e colloquiale, che lo scrittore utilizza per raccontare le storie della gente di Holt, che all’inizio appaiono singole ma in realtà hanno profonde relazioni.

Tom, professore di storia americana, e i suoi figli, Ike e Bobby, vivono momenti difficili all’interno della famiglia, dove una moglie e madre delusa e amareggiata, scivola nella depressione vivendo la sua vita in una stanza buia, si trasferisce poi da sola in una casa e infine li abbandona e fugge a Denver presso la sorella. Intorno a questo nucleo, emerge lo sforzo di Tom per stare vicino ai due ragazzi, aiutarli a crescere e ad attraversare il dramma dell’abbandono. Uno sforzo oltremodo necessario per se stesso che si trova anche problemi legati al suo ruolo di insegnante e a fronteggiare le minacce del bulletto di turno e della sua ottusa famiglia.

Victoria Roubideaux è invece una diciassettenne che rimane incinta di un ragazzo venuto da Denver, viene scacciata dalla madre e si rifugia a casa di Maggie Jones, sua insegnante, decisa a tenersi il bambino da sola. Infine, le inesistenti storie dei due vecchi fratelli Macpherson, Harold e Raymond, due allevatori che vivono soli da una vita intera in una fattoria a poche miglia da Holt.

Saranno loro, su iniziativa di Maggie Jones, ad accogliere la giovane Victoria, in cerca di rifugio e dell’affetto di una famiglia. Un incontro che cambierà per sempre i loro destini, dei due burberi e solitari fratelli e della ragazza impaurita e sola. Sono commoventi i loro tentativi per essere gradevoli e gentili con Vittoria, i loro sforzi per trovare argomenti di conversazione che rompano la barriera di inadeguatezza e paura.

Holt è una città di allevatori dove l’aria è pulita, i tramonti lunghi e interminabili, il vento sibila gelido, gli animali fanno sentire i loro versi che risuonano solitari nella pianura e la gente arriva a sera stanca dalla fatica di accudire il bestiame o da altre attività quotidiane.

In questa atmosfera normale, quasi remota, non avviene nulla di eclatante, ma i personaggi vivono i drammi veri della vita, fatti di incontri e abbandoni, violenze e vendette, fughe e ritorni. In queste storie tutti attraversano momenti difficili o vere e proprie crisi esistenziali. L’autore affianca i personaggi mentre vivono e ci racconta le sfaccettature delle loro vite, rendendoci partecipi e facendoci condividere le loro emozioni. Ci troviamo così a osservare l’incedere implacabile delle loro esistenze, a riconoscervi storie che ci sembra di aver già visto o ascoltato.

E allora, ci si chiederà, dov’è risiede l’originalità del romanzo? Si potrebbe rispondere nella semplicità, delle persone e delle loro azioni, descritte in modo così minuzioso da renderle riconoscibili: piccole e grandi fatiche quotidiane, dolori e delusioni, ma anche sentimenti nobili, come solidarietà, comprensione, amore, che rendono la vita degna di essere vissuta.

Storie di disarmante semplicità narrate senza fronzoli con la voce quasi confortante di chi rievoca episodi familiari della sua vita con una scrittura che va il più possibile vicino all’osso, come lui stesso la definiva.

Canto della pianura è un romanzo magnetico e attraente per la pura realtà di quelle vite portate alla ribalta, descritte in modo così minimo da essere mostrate nell’essenza della loro natura, della loro realtà, dei loro gesti.

E se è vero che i gesti sono coinvolgenti, allora il lettore si ritrova coinvolto, quasi personaggio egli stesso, partecipe delle vicende di Guthrie, Victoria, i fratelli McPheron, Maggie, Ike e Bobby, e del resto della gente di Holt.

– Carmela –