“LA PIOGGIA PRIMA CHE CADA”. O DELLA FELICITA’ IMPERFETTA

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E’ il titolo la prima cosa attraente di questo romanzo di Johthan Coe.

Può esistere la pioggia prima che cada? Naturalmente, no, non è reale ma non è questa la cosa importante. Ciò che esiste è un senso di attesa, uno stato d’animo, una visione, un attimo sospeso di pura intensità che precede la pioggia. Nell’aspettativa, in questa quiete carica di rivelazione, risiede il senso di questo romanzo totalmente femminile descritto con grande precisione e maestria.

“Sai Thea, non esiste una cosa come la pioggia prima che cada. Deve cadere, altrimenti non è pioggia” Era un principio stupido su cui insistere con una bambina e mi pentii di aver cominciato. Ma Thea sembrava non avere alcuna difficoltà ad afferrarlo, semmai il contrario perché dopo qualche minuto mi guardò e scosse la testa con commiserazione, come se stesse mettendo a dura prova la sua pazienza dover discutere di questioni del genere con una ritardata. “Certo che non esiste una cosa così” disse. “E’ proprio per questo che è la mia preferita. Qualcosa può ben farti felice, no? Anche se non è reale”

Prima ancora della storia, colpisce la struttura narrativa del romanzo: protagoniste sono 20 fotografie attraverso le quali si snoda la lunghissima storia delle diverse generazioni femminili di una famiglia, dalla seconda guerra mondiale al nuovo millennio, al cui centro c’è il tema della maternità e dell’amore.

Maternità dolorose e difficili di madri mancate, piuttosto che pessime madri dagli amori difficili. Amore in tutte le sue forme e sfaccettature: eterosessuale e omosessuale, quello ricercato e quello mancato, amore non corrisposto, ma in ogni caso motore potente delle storie che ci accomunano.

Le 20 fotografie sono legate ai ricordi e alla storia incredibile di Rosamond, un’anziana signora che prima di lasciare la sua vita vuole sottrarre all’oblio, attraverso la conoscenza, la vicenda di Imogen, una ragazza cieca privata dall’età di tre anni della sua vera identità.

La pioggia prima che cada si apre con una telefonata che annuncia a Gill la morte di sua zia Rosamond, ritrovata sulla sua poltrona di casa nella campagna inglese Shropshire, in una situazione piuttosto strana: di fianco a Rosamund, un registratore in mano, vengono trovate delle cassette, con la raccomandazione di farle avere a Imogen.

La misteriosa terza beneficiaria del testamento, oltre ai nipoti Gill e s David risulta però introvabile, cade nel vuoto ogni appello e ogni ricerca. Spetta a Gill e alle sue figlie, a questo punto, ascoltare quelle cassette da dove esce la voce pacata di zia Rosamund che attraverso la descrizione di ogni fotografia, racconta a Imogen la sua storia, la storia delle sue origini e di una famiglia che non può ricordare.

Ogni foto rievoca un evento, un luogo, un’epoca, un ricordo, tutto descritto minuziosamente fino al più piccolo dettaglio, perché dove la vista manca le parole possano arrivare.

Rosamund guarda le foto con distacco e disincanto, eppure con profonda partecipazione pur non lasciandosi ingannare dalla bellezza e dai sorrisi, perché lei ricorda…..e anche se con profonda emozione, riesce a non piangere la vita passata, i suoi momenti peggiori come i migliori.

La forza del suo racconto è incentrata sull’amore per la verità, per quanto dolorosa possa essere, per le storie che non sono mai morte perché possono illuminare il presente.

Le storie di Rosamund s’intrecciano, si chiudono ma non si concludono, appartengono tutte ad uno stesso cerchio, fino al punto di non ritorno che coincide con l’oblio, quello stesso oblio che lei vuole ora scardinare.
La storia di Rosamund, Beatrix, Thea e Imogen è complessa, piena di sentimenti contradditori, a volte malati; una storia amara, talvolta crudele e si dipana come un viaggio dentro un universo femminile popolato di madri, figlie, amiche, compagne di vita. Un viaggio popolato da sentimenti complessi, da situazioni che non ammettono redenzione: ci sono madri che non sanno amare i figli e donne che custodiscono dentro di sé tanto amore ma non possono avere figli. Un storia di destini incrociati, di colpe che passano da madre in figlia e non ammettono redenzioni.

E’ proprio la voce sommessa di Rosamund l’anima di questo romanzo. E’ una voce pacata e limpida, disincantata ed emozionata allo stesso tempo, una voce che porta con sé il carico del tempo vissuto, dal tempo dello sfollamento durante la guerra a casa di sua cugina Beatrix con la quale stringe un patto di sangue, al vissuto con sua figlia Thea, per arrivare a Imogem e alla decisione di ridarle ciò che le è stato tolto: la sua vera identità.

– Carmela –

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