Un villaggio sulle rive del Nam OU, nel nord del Laos. Un gruppo di adulti in festa e un po’ “allegri”ma simpatici ed accoglienti, con musica a tutto volume. E Marina e Valentina, le mie compagne di viaggio, che dopo aver rotto il ghiaccio con qualche danza, circondate dal consueto gruppetto di bambini timidi ma da subito incuriositi, li raggruppano in cerchio ed iniziano a cantare e a ballare con loro “giro giro tondo”, con l’immancabile scoppio di giubilo al momento del “tutti giù per terra”.
E’ questa una delle immagini più vivide che serbo del mio viaggio in Laos, un po’ perché i villaggi delle zone rurali, abitati dalle etnie più povere, anche quelli più aperti ai turisti, riservano sempre momenti di riflessione e commozione, che tornano nel tempo. E perché, come sempre con i bambini, non ci sono filtri e barriere ma, soprattutto per le “ragazze”, è tutto più facile.
Il Laos è un paese un po’ più piccolo dell’Italia con appena 6 milioni di abitanti, in buona misura montuoso, ricchissimo di acqua nonostante non abbia sbocchi sul mare, circondato com’è dalle tigri, non sempre rampanti, del sud est asiatico. Ma rampante il Laos non è. Negli ultimi anni ne avevo sentito spesso parlare come di un paese un po’ speciale, che ancora riusciva a preservare una sua precisa identità; un paese in qualche modo antico, un’isola capace di mantenere una sua filosofia di vita e un’atmosfera d’altri tempi, appena sfiorata dall’ansia di progresso e di crescita continua che ormai affanna quasi ovunque il nuovo e il vecchio mondo.
Incuriosito e sollecitato da amici che mi avevano preceduto sono finalmente riuscito ad andarci lo scorso novembre, al termine della stagione delle piogge. E non sono rimasto deluso.
Certo, non è la classica meta da turista; non offre città d’arte con storie millenarie, o monumenti civili e religiosi antichi ed opere d’arte tali di per sé da giustificare il viaggio. Non ha nemmeno una tradizione culinaria ricca e appetitosa come quella delle vicine Thailandia, Cina o Vietnam. A meno che non andiate pazzi per pollo e noodles in tutti i possibili abbinamenti a pranzo, cena e magari anche a colazione, accompagnati dall’immancabile riso, spesso quello sticky rice appicicaticcio che proprio un complimento al palato non è.
Eppure è un paese che offre, al viaggiatore disposto a lasciarsi coinvolgere, una ricchezza di immagini e sensazioni che nel tempo io mi trovo ancora a rivivere.
A partire dall’incanto del suo paesaggio lussureggiante fatto di montagne ed altipiani ricoperti di foreste fittissime, ammantate, nelle prime ore del giorno, dalla nebbia provocata dall’umidità delle notte; quando la nebbia si dissolve a poco a poco con l’avanzare delle ore, lascia il posto alla meraviglia di un verde dalle mille sfumature che cambiano ad ogni curva (e ce ne sono tante!), ora più intense e brillanti, ora più delicate e soffuse. Ed è uno spettacolo continuo fino all’ora del tramonto. Riesco ancora a scorrere con gli occhi il susseguirsi di scorci incantevoli che mi sono goduto nei lunghi spostamenti nel nord del paese, da Huay Xay a Muang Sing, fino all’arrivo a Luang Prabang.
L’antica capitale del Laos sorge in una posizione meravigliosa alla confluenza del Mekong con il Nam Khan: e’ la meta turistica per eccellenza del paese, quella più ricca di storia e forse rimane ancora l’unica che nel corso di questi ultimi anni si è volta integralmente ai turisti e alle loro…necessità. Tuttavia, pur nell’immancabile perdita di genuinità, nell’alto numero di viaggiatori che passano uno o più giorni nei tanti piccoli alberghi e ristoranti del centro, sono comunque riuscito a ritrovarvi lo stesso senso di placida rilassatezza che è un po’ l’essenza del fascino laotiano.
E’ stato bello passeggiare nei piccoli vicoli della città vecchia, visitare il palazzo reale e i tanti Wat (templi buddhisti) disseminati nel centro e si, lo ammetto, anche coccolarsi un po’ con cappuccino e brioches in una delle tante caffetterie occidentali dopo i giorni intensi e un po’ spartani trascorsi a nord, per chiudere infine la giornata salendo – a dire il vero un po’ faticosamente – il Mount Phousi, la collina sacra da cui godere la luce calda ed intensa del tramonto sul Mekong e sulle colline circostanti.
Credo non esisterebbe il Laos senza il Mekong. Per ovvi motivi geografici. Ma soprattutto perchè questo grande fiume che segna in modo irregolare il paese da nord a sud, è un po’ l’essenza del Laos, un lento fluire tranquillo, con il suo incedere maestoso, ma placido e sonnolento, che solo nell’estremo sud sembra improvvisamente risvegliarsi dando vita all’arcipelago delle 4000 isole e ad un complesso di rapide che preludono al suo ingresso in Cambogia.
Che belle le ore trascorse a navigare! Lungo il Mekong, nelle 4000 isole, alla ricerca dei delfini che non si sono fatti vedere, dopo una lunga e divertente biciclettata di gruppo tra un punto di approdo e l’altro, o per andare a visitare la grotta di Pak Ou, non lontano da Luang Prabang, con le sue migliaia di statue di Buddha; ma soprattutto lungo lo spettacolare Nam OU, sulle lunghe lance a motore che consentono di raggiungere, a volte unico mezzo di trasporto, i villaggi che sorgono sulle sue rive e da qui, per i più intraprendenti, con trekking più o meno impegnativi, i villaggi isolati nelle zone montuose interne, tutti abitati dalle tante etnie che popolano il Laos.
Mi rimane il rammarico di non aver passato pìù giorni sui fiumi e di non essermi spinto, assieme ai miei compagni di viaggio, nelle aree più remote e meno battute dagli itinerari di viaggio, alla ricerca di un contatto forse difficile – ma i laotiani sono miti e gentili – , ma più vero.
O di non aver dedicato più tempo al bellissimo altopiano di Bolaven, ricco di piantagioni di te e caffè, con le cascate di Tad Fane, due corsi d’acqua in caduta libera per 100 metri che sbucano dal fitto della vegetazione e che noi abbiamo visto comparire e scomparire nella nebbia delle uniche ore di pioggia del nostro viaggio.
E’ facile prevedere che se tornassi in Laos fra dieci o vent’anni lo troverei profondamente cambiato. In peggio?
A giudicare la storia di questo paese, diviso nei secoli passati in regni diversi, oggetto di conquiste ed invasioni da parte di popoli vicini come pure dell’occidente evoluto, sembra che l’indole pacifica e un’attitudine di vita incentrata su un sereno distacco e lo sguardo verso un futuro che non ci si aspetta molto diverso dal presente sia rimasta una costante. Nonostante tutto.
Ma è un paese che si sta aprendo allo sviluppo e alla crescita, anche se faticosamente, quasi recalcitrante, a giudicare dagli investimenti in corso nelle poche grandi infrastrutture che abbiamo visto, come le molte dighe in costruzione, tutte opera di paesi stranieri, Cina in testa, spesso con manodopera straniera. E il turismo sta diventando una risorsa importante e come tale, sta lentamente portando al cambiamento.
E allora la domanda che continuavo a pormi nei giorni del viaggio e che ancora mi pongo e’ sempre la stessa antica domanda: durerà? E per quanto ancora?
Spero che queste parole vi abbiano fatto venire voglia di conoscere un po’ di più questo paese e, magari, di andarci. Se così è, lasciate a casa l’affanno e l’urgenza delle cose che segnano, nel bene e nel male, la nostra vita quotidiana e fatevi conquistare, almeno per qualche giorno, da un nuovo stato d’animo. E fatelo con la delicatezza e la mitezza della gente del Laos, e se possibile, come ho fatto io, in buona compagnia.
– Ivan –